Fare l’assessore durante un genocidio
Ai primi di gennaio di quest’anno mi ero dato il proposito di raccontare un po’ della mia attività di assessore a Lodi. Come si può vedere, non ce l’ho fatta. Ho faticato molto a scrivere. Ho giusto mantenuto l’impegno della mia rubrica mensile sulla rivista Altreconomia. Anche i miei post su Climalteranti si sono diradati. Il mio account su Bluesky è stato praticamente fermo. Non è stata solo una questione di tempo, che pur scarseggia parecchio. Ha contato molto di più quanto sta succedendo nel mondo, e in particolare in Palestina. La mostruosità del genocidio a Gaza, la disumanità della pulizia etnica in corso nei territori occupati, le efferatezze quotidiane mi hanno tolto la voglia di mettermi a parlare di verde, mobilità, della raccolta dei rifiuti, dei problemi di bilancio, di un bando vinto o di uno perso. Tutte queste cose quasi perdono significato se si pensa che a qualche ora di aereo da noi si spara sulle persone in coda per il cibo, gli ospedali e le ambulanze sono regolarmente bombardate, migliaia di bimbi muoiono di inedia. Un processo di disumanizzazione che ricorda molto da vicino quanto successo ottanta anni fa nei campi di sterminio nazisti.
Ovviamente non è la stessa cosa, il contesto è molto diverso. Ma se prima quelli che riuscivano a vivere come se niente fosse erano poche migliaia di persone che vedevano i camini accesi e le persone inghiottite nel nulla, ora siamo tutti spettatori, abbiamo informazioni dettagliate, fotografie, persino dei video che ci raccontano la barbarie. A cui stiamo indirettamente contribuendo con tante armi e altri mezzi da guerra che contribuiamo a fabbricare nei nostri territori. Ci sarebbero tanti link, si trovano facilmente per chi vuole verificare. Ne metto solo uno, questo recente rapporto del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani e la questione palestinese, From economy of occupation to economy of genocide.
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Ho continuato a lavorare, a vivere la mia vita, facendo finta di niente, come molti. A cercare di dare un senso al mio lavoro, di ricordarmi che nonostante tutto un senso ce l’ha. Ho partecipato per quanto possibile a qualche manifestazione o momento di riflessione, che ha solo aumentato la rabbia, l’angoscia.
Ho cercato di trovare dei momenti per pensare. Ho letto molto. Qui la recensione che ho fatto di un bellissimo libro: “Diluvio” di Stephen Markley, che consiglio a tutti, un libro che ci parla di come potrebbe evolvere la distopia a cui abbiamo iniziato ad assistere. Mi ha aiutato a reggere le temperature torride che da un paio di decenni racconto che sarebbero arrivate. O le tempeste, di cui 15 anni fa ho curato l’edizione italiana di un libro che spiegava perché col caldo sarebbero state più frequenti e distruttive.
Un altro libro che ho letto e che mi ha fatto molto pensare è il numero di MicroMega 3/2025 – Disconnessi. L’impatto dei social sulle nostre vite. Anche questo davvero ben fatto, pure invito a leggerlo. Tanti contributi molto interessanti, che mi hanno dato altri elementi di valutazione e fatto riflettere sulla mia scelta di non partecipare alla discussione sui social. Una scelta che per chi è coinvolto nell’attività amministrativa di una città non è facile. Perché di fatto una parte del dibattito su quanto avviene nella città avviene su facebook e su instagram. Come si scrive nell’introduzione alla sezione “La Polis al tempo dei social” “i social network sono diventati il nuovo luogo della politica, nel bene o nel male”. Per cui non è strano che mi arrivino spesso link da leggere. A volte chi me li gira non spiega neppure perché dovrei leggerli. Quando mi è capitato di cliccare su quei link, quasi sempre me ne sono pentito. Indubbiamente avevano anche un contributo informativo, ma leggere i commenti mi confermava la tossicità del contesto. Ho cercato di uscirne al più presto. Anche perché ho verificato che, come spiegano su Micromega, sono davvero efficaci nel creare dipendenza, anche con i reel che gli algoritmi dell’intelligenza artificiale ti propongono (e non saprei come disattivare). Davvero si sta verificando la “tiktokizzazione” dei social media, sempre più luoghi di asocialità.
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Negli ultimi giorni, approfittando di un paio di giorni di vacanza, mi sono messo a leggere quanto scritto su facebook riguardo alle cose che avvengono a Lodi. Sono andato indietro nei post e ho seguito i commenti, ne ho letti a centinaia. Una cosa impressionante. Ci sono tantissime persone che scrivono senza conoscere le cose di cui scrivono, senza aver approfondito o verificato, ma per sentito dire. Raccontano cose palesemente non vere. Facilmente smentibili. A volte vengono smentite clamorosamente nei commenti ai loro scritti. E non fanno una piega. Continuano ad esprimere giudizi categorici. Sembra spesso uno scaricamento della rabbia che cova, un clima violento per argomenti quasi sempre futili; futili nel contesto di Lodi, senza confrontarsi con Gaza.
Ho scoperto che ci sono tante persone che parlano di me, quasi sempre male. Ho trovato anche alcuni che si potrebbero definire dei miei hater moderati. Nel senso che mi dedicano in modo compulsivo commenti negativi, anche velenosi. Ma non lo fanno con vero malanimo. Mi pare che è come se in fondo non ci credessero neppure loro a tutte quelle cose cattive che scrivono. La cosa divertente è che i motivi per cui parlano – male – di me sono strampalati, assurdi a volte. Basati su cose palesemente non vere, fatti non successi, o successi in modo completamente diverso da quanto viene raccontato. Se mi chiedessero degli argomenti per scrivere male di me qualcosa da dire ce l’avrei. Ma loro sono proprio fuori strada. Giusto per fare un esempio, c’è una che ha scritto non so quante volte che io anni fa avrei voluto tagliare centinaia di alberi nel principale parco della mia città. Io. Ora, sono piuttosto sicuro che una cosa del genere non solo non l’ho mai scritta o detta, ma non non ho mai pensato di proporre di farla.
Poi c’è chi usa come tecnica di fare commenti quasi quotidiani denigratori nei miei confronti, mettendo fra virgolette frasi che uno potrebbe pensare sarebbero da attribuire a me, o vicino a quello che io potrei aver detto. E a me tocca fermarmi a pensare se magari una cosa del genere non l’abbia detta davvero. E quasi sempre concludo che no, non l’ho mai detta. Fra le cose strambe c’è chi ritiene di sapere quali sono le cose che mi interessano e quali non mi interessano. Senza avermelo mai chiesto, giudicando da quanto altri scrivono sul social. O deduce dai fatti che vi sono raccontati da altri. E anche qui la cosa che non mi interesserebbe poi viene fuori che è una cosa a cui sto dedicando davvero tanto tempo, per cui ho organizzato in tre anni una ventina di momenti pubblici e su cui ci sono parecchi fatti concreti che, secondo me, potrebbero dimostrare facilmente il contrario, ossia che mi interessa eccome. Cose così.
Poi ci sono quelli che nei saggi di Micromega ho scoperto andrebbero definiti fuffa-guru. Anche loro scrivono in modo compulsivo, che ti viene da pensare ma dove trovano il tempo. Non sono cattivi, sono solo un po’ mitomani. Gente che fra un selfie e un video si spaccia per esperta di tutto o quasi. Magari sa scrivere, ma il livello culturale è da terza media. Luoghi comuni, banalità tradizionaliste o da anime belle. Ma scritte bene, col presunto cuore in mano, sempre puntando sull’emozione, i sentimenti. Non riesco a volere male neppure a queste persone. Penso che dovrebbero farsi aiutare. Non lo dico in modo retorico. Molte delle assurdità che ho letto nel mio viaggio dentro facebook sono chiaramente segno di un disagio, di psicopatologie generate da nevrosi o da frustrazioni. Il tema della salute mentale d’altronde è molto legato ai social, e non solo per gli impatti sui più giovani (molto bello al riguardo il testo finale del numero citato di Micromega).
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Leggendo molti dei commenti a me dedicati, mi è venuta voglia di rispondere, di provare a scrivere: no guarda le cose non stanno così, questo non è mai successo, questo non è vero, quella è una falsità o un’idiozia. Ovviamente so immaginare le conseguenze, poi arriva la risposta e tu rispondi e così via, e ti trovi a pensare – così è finita le ultime volte che ci ho provato – ma chi me l’ha fatto fare di rispondere.
E poi a disagio sono un poco anche io, per i motivi detti all’inizio di questo testo, e fatico ad aver la voglia di scrivere qualcosa. E trovo normale che ci siano tante persone che non stanno bene e si sfogano come possono. Li capisco. E infine, come scrivevo nell’appunto precedente, quando l’irrealtà ti viene proposta in modo così deciso, è umano che ti venga il dubbio di essere tu a vivere fuori dalla realtà; e devo dire che un paio di volte mi è venuto il dubbio che magari non mi ricordo come sono andate le cose e hanno ragione loro e quelle nefandezze sono veramente successe.
Penso di aver spiegato perché ancora per un po’ non frequenterò i social. Proverò a raccontare qualcosa qui, ma questo è un impegno che ho già preso. Per il resto non mancheranno le occasioni pubbliche per far sapere della mia attività di assessore, o per potersi parlarsi di persona; e alla fine questo è il modo migliore che hanno gli esseri umani per capirsi.
Lodi, 6 luglio 2025